del Prof Armando D’Elia
Naturalista, chimico, studioso di dietetica vegetariana
(Comitato Scientifico AVI)
Per una corretta comprensione dell’argomento di questo paragrafo occorre fare uno sforzo su sé stessi: si devono lasciare da parte tutte le teorie e le ipotesi sull’alimentazione dell’uomo preistorico che grosse forze economiche ed una scienza asservita al potere e al profitto hanno cercato di farci accettare a tutela di determinati interessi. Si deve invece cercare di dare risposte soddisfacentemente accettabili agli interrogativi che certamente suscita tale tema, utilizzando il buon senso, la logica elementare e i nostri orientamenti istintivi; sono, questi, tre semplici ma potenti strumenti dì indagine di cui tutti disponiamo e che dobbiamo rivalutare ed usare con determinazione.
Occorre partire da un dato di fatto incontestabile: i nostri più antichi progenitori non erano carnivori, non erano erbivori, non erano onnivori, erano semplicemente dei fruttariani e lo furono per moltissimi anni, i primi della loro esistenza. Essi, non ancora bipedi, vivevano sugli alberi della foresta, che dava loro l’unico cibo al quale la specie umana è biologicamente adatta, cioè la frutta succosa e dolce, che ancora oggi istintivamente appetiamo e cerchiamo sin da piccoli, e sino a che permane il nostro sano istinto alimentare. Quindi noi tuttora nasciamo fruttariani, non ci sono dubbi, non ce ne possono essere: da bambini desideriamo e rubiamo la frutta, non la carne, non la verdura, siamo attirati unicamente dal cibo più confacente alia nostra struttura fisio-psichica e quindi nutrizionalmente ottimale, come l’anatomia comparata, la fisiologia comparata, ed altre discipline scientifiche comprovano.
Indubbiamente esiste un cibo adatto, più di qualsiasi altro, per ogni specie animale e la frutta succosa e dolce è, appunto, il cibo naturalmente più adatto alla specie umana.
Scientificamente questo è spiegabile facilmente dato che esiste una stretta relazione, profonda ed atavica, tra un certo tipo di alimento e la struttura anatomo-funzionale dell’animale che di esso si nutre; tale relazione costituisce garanzia di conservazione e di salute per quell’organismo, per cui sarà “istintivamente” attratto da “quello” specifico alimento. Quell’organismo è, in conclusione, predisposto, per legge naturale ed in modo ottimale, alla ingestione e alla digestione di quell’alimento più di qualsiasi altro alimento.
La terminologia è importante; deve essere, quanto più possibile esatta, per evitare confusioni, errori di valutazione, interpretazioni fuorvianti, conclusioni sbagliate. Detto questo, ecco che sorge qui la necessità di fare chiarezza sulla differenza tra “fruttivoro” e “fruttariano” e tra “fruttivorismo” e “fruttarismo“. Parliamone, quindi. Il termine “fruttivorismo” indica un generico “mangiar frutta“; pertanto “fruttivoro” è “chi mangia frutta“. Orbene, se pensiamo che esistono popoli che non conoscono l’uso alimentare della carne o dell’olio, o del pane, o del latte non umano, ma che (significativamente!) non esiste alcun popolo che ignori la frutta come alimento, allora tutti gli abitanti delia Terra si potrebbero qualificare “fruttivori”, anche se assieme alla frutta mangiano altro? Certamente !
Ma quei frugivori che sono finalmente riusciti ad individuare nella frutta il proprio unico e duraturo alimento, ripristinando felicemente l’alimentazione naturale dei nostri antenati, sono dei fruttivori particolari che occorre distinguere dagli altri fruttivori chiamandoli “fruttariani” e chiamando “fruttarismo” il modello alimentare da loro raggiunto. Non sarebbe errato quindi dire che i fruttariani sono dei “fruttivori fruttariani“.
In conclusione, tutti i fruttivori, e quindi indistintamente tutti gli uomini della Terra, sono potenzialmente dei futuri fruttariani in quanto tutti inevitabilmente, più o meno tardi e più o meno velocemente, approderanno (questo è il vero progresso !) al fruttarismo, ambita meta di tutta l’umanità, impegnata ormai nel lungo viaggio di ritorno alla alimentazione naturale, che ha intrapreso molti millenni fa.
E’, questo, un viaggio lunghissimo, ma che verrebbe enormemente accelerato se da bambini fossimo lasciati liberi di crescere nutrendoci solo con la frutta, unico alimento che l’istinto ci suggerisce e che ambiamo mangiare e non fossimo invece soggetti alle pressioni deviatrici dei genitori, di coetanei già viziati, di pediatri che, ignoranti o venduti all’industria, influenzano purtroppo le cure parentali.
Ancora qualche nota di terminologia per affermare che si può validamente usare il termine “frugivoro” quale sinonimo di “fruttariano”, come autorevolmente confermano il glottologo Pianegiani nel suo “DIZIONARIO ETIMOLOGICO DELLA LINGUA ITALIANA” ed il linguista Webster nel suo “NEW INTERNATIONAL DICTIONARY” .
Va ricordato anche che la radice etimologica di fructus è la medesima di “frugale” e quindi di “frugalità”, per indicare un modello di alimentazione sobrio e limitato a modeste quantità di prodotti della terra, il che torna a lode del vegetarismo e, naturalmente, del fruttarismo.
C’è chi, facendo leva sul fatto che fruges (latino) significa “frutti”, ma significa anche “biade”, sostiene, più o meno artatamente, che il termine “frugivoro”, se si privilegia tale secondo significato e se ci si riferisce all’uomo, giustifica il ricorso alimentare ai cereali da parte dell’uomo stesso. Una simile tesi è però scientificamente insostenibile per molti motivi e soprattutto per i seguenti, da tenere sempre presenti:
• I cereali danno dei frutti secchi (cariossidi) che, se interi, sono inadatti ad alimentare l’uomo mentre sono adatti, per esempio, a nutrire uccelli granivori, che sono forniti di un apparato digerente appositamente strutturato per la digestione di questi frutti/semi delle graminacee (famiglia alla quale appartengono i cereali) e ben diverso da quello umano. L’uomo riesce ad utilizzare i cereali soltanto mediante artifici, cioè: con la molitura e poi con la cottura, ricavando alla fine dei prodotti morti, privati, fra l’altro, del corredo vitaminico.
• All’uomo si addicono solo quel frutti crudi (cioè “vivi”), succosi e dolci, che costituirono – si ripete – la sua unica fonte di alimentazione nella preistoria, fonte che ancora oggi riemerge nei nostri istinti. Questi frutti contengono, in media, l’83% di acqua (ecco la percentuale dì acqua di alcuni frutti ed ortaggi-frutto : mela 81%, pesca 84%, pera 82%, uva 80%, fico 80%, prugna 81,4%, banana 72%, cocomero 90%, fico d’India 85%, melone 91%, arancia 86%, mandarino 85%, oliva 70%, ciliegia 75,5%, kaki 78%, nespola 74%, cetriolo 96,1 %, peperone 91 %, pomodoro 93,5%, zucca 87%, melanzana 92%, zucchina 91,3%).
L’acqua presente nella frutta è notevolmente più abbondante di quella contenuta nel corpo umano, nel quale l’acqua è presente nella misura del 65% circa; quindi il corpo di un uomo adulto pesante 70 kilogrammi contiene 45,5 kg di acqua.
L’acqua che introduciamo dall’esterno con l’alimentazione (acqua “esogena”) è un ottimo vettore fisiologico in quanto veicola i materiali alimentari, regola i processi biologici dell’organismo e, soprattutto, consente la disintossicazione dell’organismo stesso. E’ importante precisare che l’acqua “esogena” opera assieme all’acqua “endogena”, la quale – come dice il nome – si forma all’interno delle cellule dell’organismo ed è prodotta da fenomeni ossido-riduttivi a carico di glucidi, lipidi e protidi. Quest’acqua “endogena” promuove l’ingresso nella cellula dei principii necessari alta sua nutrizione, mentre l’acqua “esogena”, circolando all’esterno delle cellule, consente il drenaggio, per esosmosi, dei cataboliti intracellulari.
E’ ben noto che coloro che divengono vegetariani e si alimentano prevalentemente con frutta, ortaggi-frutto e ortaggi a foglia, vedono gradualmente scomparire la sete, in quanto l’acqua introdotta con tale alimentazione è così abbondante che il loro fabbisogno idrico viene totalmente coperto. Orbene, quale altro cibo consente tale copertura? Nessuno. Questa constatazione è una ulteriore prova che i vegetariani che stanno realizzando una simile alimentazione sono sulla strada giusta.
• La digestione degli amidi dei cereali è, come illustrato in altra parte del libro, particolarmente onerosa in quanto a dispendio energetico e alla fine approderà alla formazione, terminale di monosaccaridi (cioè zuccheri semplici, come, per esempio, il glucosio) che troviamo già presentì, pronti per essere assorbiti senza fatica, nella frutta succosa e dolce.
Se, invece, si fa riferimento non all’uomo come fruitore di cereali, ma ad altri animali, l’affermazione secondo la quale è corretto l’utilizzo alimentare dei cereali è scientificamente valida. Del resto si è già visto dianzi che per gli uccelli granivori le cariossidi (integre) dei cereali costituiscono cibo adeguato. Lo precisa – attenzione! – lo stesso glottologo Pianegiani (prima citato) il quale ci dice che fruges con il significato di “biade” si addice “propriamente alle bestie”, intendendo evidentemente per “bestie” gli animali non umani e particolarmente gli erbivori, i quali infatti usano le biade come foraggio e per i quali quindi è giusto dire, con il Pianegiani, che “si pascono” di biade.
Poiché questo capitolo fa parte di un lavoro imperniato sulle proteine nell’alimentazione umana, uno dei punti più qualificanti è senza alcun dubbio quello che riguarda le proteine della frutta, che costituirono per millenni l’unico cibo dell’uomo preistorico. L’uomo, però, ad un certo momento del suo passato preistorico divenne carnivoro e la carne, si sa, è un alimento eminentemente proteico, che continua ad essere presente nella comune dieta di gran parte dell’umanità.
Tratto dal libro “Miti e Realtà nell’alimentazione Umana – Armando D’Elia”