del Prof. Armando D’Elia
Naturalista, chimico, studioso di dietetica vegetariana (Comitato Scientifico AVI).
Articolo tratto dal suo libro:“MITI E REALTA’ NELL’ALIMENTAZIONE UMANA”
Nei paesi del Terzo Mondo gli effetti della malnutrizione si manifestano, negli adulti, con il crollo della efficienza fisica e psichica. A questo punto però occorre fare necessariamente una importante precisazione. Un tempo la magrezza, diffusa presso alcune popolazioni, e che molti osservatori occidentali qualificavano “eccessiva”, veniva sbrigativamente considerata patologica e attribuita alla malnutrizione (anzi a fame).
Ma oggi si va molto più cauti nell’inserire “ipso facto” in un quadro patologico una magrezza che a prima vista sembrasse eccessiva. Alla luce di studi più completi sulle popolazioni africane ed asiatiche si è imposta la necessità primaria di rapportare lo stato di magrezza riscontrato ai biotipi e ai modi di vita locali onde appurare se essa sia davvero un fatto patologico da attribuire a turbe nutrizionali.
Ve, quindi, rigettata ogni valutazione della magrezza fatta acriticamente applicando le, comunemente note, tabelle riguardanti il rapporto altezza-peso, “cliché” tipicamente occidentale, da considerare oggi, per quanto appresso riportato, decisamente superato. “Superato” perché basato su modelli assurdi privilegianti uomini cosiddetti “ben portanti” e donne “in carne”, cioè soggetti pre-obesi o decisamente obesi, a causa di malsane abitudini alimentari, cioè di “malnutrizione per eccessi alimentari”, tipica dei paesi cosiddetti “opulenti”.
Sono illuminanti a questo riguardo (specie per quanto attiene agli africani) gli accurati studi effettuati in Somalia sui pastori nomadi somali dal medico Italiano Lapiccirella, che hanno documentato la stupefacente efficienza fisiopsichica di quelle popolazioni nonostante una magrezza che, alla luce dei canoni tradizionali della medicina ufficiale, sembrava così eccessiva da farla ritenere incompatibile con una vita attiva minima. Questi pastori sono in realtà capaci, invece, di percorrere, sempre sereni, molte decine di chilometri senza fermarsi e stancarsi, sotto il sole cocente e nutrendosi con pochissimo, dandoci validissimi esempi di un alto livello di salute a noi sconosciuto.
Occorre tuttavia dire che da tempo aveva cominciato, sia pure timidamente, a farsi strada, contro corrente, il convincimento che le tabelle del rapporto “alterzza-peso”, cui prima si è accennato, adottate dalla quasi totalità della classe medica, fossero da rivedere.
Queste tabelle portavano a concludere che l’aumento della statura umana (e il conseguente aumento di peso), ché negli ultimi 75 anni è andato progressivamente accentuandosi, doveva considerarsi un fatto positivo. Né era mancato chi attribuiva tale aumento della statura l’incremento, effettivamente verificatosi, del consumo di carne, consumo che pertanto si riteneva dovérsi incoraggiare.
Ma a rompere gli indugi e le esitazioni di tale opera di revisione è fortunatamente intervenuta L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA che, da Ginevra, con un chiaro comunicato scientifico, firmato da ricercatori dell’Università di San Diego, USA, capeggiati da Thomas Samaras, confuta l’idea che la crescita in statura e in peso della specie umana sia un segno di migliore salute.
Al contrario, i risultati della ricerca dimostrano:
- che l’aumento della taglia umana è una tendenza malsana perché in conflitto con il raggiungimento della speranza di vita massima. L’indagine, condotta su vasta scala su donne e uomini statunitensi, stabilisce infatti che ogni centimetro in più in altezza comporta una diminuzione della longevità di quasi sei mesi e che coloro che superano i 175 centimetri di altezza vivono in media cinque anni meno di coloro che raggiungono tale altezza;
- che coloro che pesano meno di 63 chili e mezzo guadagnano 7,7 anni di vita rispetto a chi pesa oltre a 90 chili. Ma tra individui della stessa altezza ma di diverso peso, per ogni 4,55 chili di meno la vita si allunga di circa un anno. Il comunicato scientifico conclude che l’uomo ideale è alto un metro e 50 e pesa 46 chili, ha cioè le dimensioni che molto probabilmente aveva l’Homo sapiens quando apparve sulla Terra; quindi bisogna combattere l’idea che lo scarso peso e quindi la magrezza siano fatti negativi.
A corollario ed a conferma dell’importante comunicato dell’OMS, l’autore aggiunge la seguente notizia, dalla quale trae alcune considerazioni.
Il 12 marzo 1995 moriva in Cina, all’età di 147 anni, Il signor Gong Laifa, l’uomo più vecchio della Cina e forse del mondo intero. Era alto: un metro e 40 e pesava 30 chili. Altri dati importanti: alimentazione vegetariana non beveva alcolici viveva in campagna, faceva molto moto (da IL GIORNALE D’ITALIA del 31 marzo 1995).
Ecco ora n nostro breve commento a questo fatto di cronaca.
I dati suddetti sono assai interessanti perché suonano conferma di quanto i paleo antropologi più quotati, hanno accertato in merito ai caratteri fisici degli Australopiteci e dei membri arcaici del genere Homo, che avevano un fisico tutt’altro che imponente: le femmine raggiungevano a mala pena i 130 centimetri di statura, i maschi circa 160; in quanto a peso, le femmine pesavano una trentina di chilogrammi, i maschi 45.
Soprattutto importanti nella scoperta di tali dati sono stati gli studi di Robert J. Blumenschine e John A. Cavallo, studi pubblicati in Italia su “LE SCIENZE” n.292 (dicembre 1992); ripubblicati poi, data la loro importanza, su “LE SCIENZE QUADERNI” n.73 (settembre 1993).
Da segnalare ancora che “Lucy” (l’auiralopiteco di Hadar, vissuto 3,2 milioni di anni fa) era alta poco più di un metro e pesava non più di 27 chili.
Azzardiamo pensare che le caratteristiche ancestrali, primigenie, del genere umano riaffiorano, potenti ed indistruttibili come gli Istinti, anche nell’uomo d’oggi, ogni qual volta si realizzino comportamenti e condizioni ambientali ad essi favorevoli.
E, ancora, una nostra considerazione generale sulla importante dichiarazione scientifica della OMS, prima riportata.
Poiché siamo pienamente d’accordo con tale dichiarazione, possiamo ben dire che “un uomo magro e di scarso peso è un uomo in salute” e che, viceversa “un uomo in sovrappeso o decisamente obeso è un uomo malato”.
Ma occorre anche dire che a simili affermazioni di solito si obietta che n po’ di tessuti di riserva “sono necessari”. Il che potrebbe anche essere vero se l’uomo dovesse attraversare dei deserti e restare senza cibo per molto tempo essendo, in tal caso, costretto ad attingere a delle riserve, come i dromedari e i cammelli (che in simili circostanze consumano le riserve del grasso accumulato nelle gobbe); o se l’uomo fosse un animale ibernante, come l’orso, che deve superare il letargo consumando le riserve tissutali. La realtà è invece che noi mangiamo, normalmente, tutti i 365 giorni dell’anno ed almeno tre volte al giorno, quindi non occorre avere riserve di alcun genere per affrontare digiuni forzati, che praticamente non capita mai di dovere sopportare. Peraltro, codesta riserva costituirebbe un maggior lavoro per il cuore ed un peso inutile da portarsi appresso.
Un’altra obiezione che un uomo magro e di scarso peso si sente fare è questa: “sei troppo magro”. Ora, cosa significa “troppo magro”? Significa forse che la magrezza è tale da mettere a repentaglio la vita dell’Individuo? Ebbene, è vero il contrario: un uomo magro si sente (ed è) in piena forma e in salute proprio perché è magro. Occorre considerare, peraltro, che se poi, putacaso, la magrezza dovesse veramente mettere in pericolo la vita dell’individuo, l’intelligenza del corpo, sempre vigile, farebbe immediatamente sorgere la fame, quella vera: ma fintanto che questo non avviene, la magrezza non potrà mai considerarsi un fatto negativo e meno che mai allarmante.
Ricordiamo i minuscoli e magrissimi vietcong che ne Vietnam vinsero la guerra contro i corpulenti francesi e gli obesi americani; ricordiamo i magrissimi Hunza (il popolo che ignora la malattia); ricordiamo il filosofo inglese Bertrand Russell, grande vegetariano, che , 43 chili di peso, guidava con passo energico le marce di protesta contro la guerra del Vietnam, ecc. ecc.
Nei bambini del Terzo Mondo, invece, la denutrizione si manifesta con stati di “marasma” tipicamente infantile e con il “Kwashiorkot”, quest’ultimo da collegare anche alla ingestione di micotossine, sostanza tossiche dovute a muffe che inquinano soprattutto le arachidi, molto consumate in quei paesi. Ma, tornando ai paesi europei, occorre proprio dire, alla luce di alcuni concetti – base prima enunciati, che la malnutrizione – specie quella per eccesso, cioè la ipernutrizione – affligge, si può dire, la grande maggioranza della popolazione dei paesi ad economia sviluppata, tanto che si potrebbe parlare della malnutrizione come di un problema planetario. Si salvano i vegetariani (ai tempi il termine vegani non esisteva, coincideva con vegetariani) e gli igienisti più avanzati ed attenti, i quali, anche se in continuo aumento, sono ancora una minoranza.
In particolare, per l’apporto di proteine, si commette l’errore di ingerirne troppe, ritenendo, con ciò, di nutrirsi meglio. Invece, come si preciserà più in là, le proteine sono l’unico principio nutritivo che l’organismo umano si rifiuta di accumulare; le proteine eccedenti lo stretto bisogno “plastico” e l’eventuale compito vicariante “energetico” si trasformano soprattutto in grassi e glucidi impegnando però pesantemente, per raggiungere questo scopo, fegato e reni, che risentiranno certamente di questo superlavoro.