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di Armando D’Elia
Naturalista, chimico, studioso di dietetica vegetariana (Comitato Scientifico AVI)
GLACIAZIONI, SICCITA’ E PIOVOSITA’
Cerchiamo di capire i motivi dell’avvento del carn ivorismo nella vita dell’uomo, fatto che ha tutte le caratteristiche di una tragica involuzione, dalla quale prese l’avvio la degenerazione fisiopsichica dell’uomo attuale. Durante la preistoria dell’uomo si verificarono eventi meteorologici e geologici che alterarono profondamente l’ambiente. Avvennero glaciazioni (espansioni dei ghiacciai), interglaciazioni (ritiri dei ghiacciai e avvento di climi più caldi), periodi di forte inaridimento climatico (siccità), periodi di aumenti eccezionali di piovosità (pluviali).
LE GRAMINACEE DELLA SAVANA E L’AIUTO DEL FUOCO
L’insieme di tali eventi provocò notevolissime riduzioni delle foreste che si trasformarono prevalentemente in savane. L’uomo fu così costretto a comportarsi come un animale da savana e, per sopravvivere, fu costretto a cibarsi di quello che in tale ambiente trovava. Vi trovò le graminacee. Ora, le graminacee producono frutti secchi, inodori e insapori. Sono, insomma, come dicemmo, cibo per uccelli. Con artifizi e l’aiuto del fuoco l’uomo riuscì ad utilizzare queste cariossidi. Ma l’evento più rivoluzionario che gli occorse, comportandosi come un animale da savana, fu il ricorso, a scopo alimentare, alla carne degli erbivori abitatori della savana, divenendo così, per necessità, un mangiatore di carne, sempre però con l’aiuto del fuoco, non potendo mangiare crudi ne le cariossidi dei cereali ne le carni. Senza l’artifizio della cottura e (per i cereali) della molitura, l’uomo non avrebbe potuto diventare né un mangiatore di carne, né un cerealivoro, giacché le sue caratteristiche anatomiche naturali (dentatura, ecc.) da sole, non glielo avrebbero consentito.
AVVENTO DEL CIBO CARNEO E CONSEGUENZE CATASTROFICHE
L’impatto con le innaturali deviazioni alimentari (cereali e proteine di cadaveri di animali, peraltro cotti, cioè morti) ebbe, per l’uomo, conseguenze catastrofiche in termini di salute e di durata della vita. il che è comprensibile, dato quello che io chiamo “salto a strapiombo” tra un alimento vivo e vitalizzante come la frutta da una parte e gli alimenti amidacei e carnei, cadaverici e mortiferi, iperproteici come la carne, uccisi e quindi devitalizzati con la cottura, dall’altra. Reay Tannahill nella sua “Storia del cibo” ci dice addirittura che “durante il periodo dei Neanderthaliani meno della metà della popolazione sopravviveva oltre i 20 anni e 9 su 10 degli adulti restanti morivano prima dei 40 anni”. Fu soprattutto l’avvento del cibo carneo, con il suo contenuto eccessivo di proteine e con la conseguente tossiemia a produrre tali disastrosi effetti sul corpo, ma anche sulla mente degli uomini; non bisogna infatti dimenticare che la carne crea aggressività…
L’UOMO-SCIACALLO CHE SOTTRAE PREDE A LEONI E LEOPARDI
Ma l’uomo è inerme, quindi non è per natura carnivoro, essendo sfornito anatomicamente dei dispositivi atti ad inseguire, uccidere e masticare, crude, le carni degli erbivori. Si pensa pertanto che l’uomo primitivo non sia stato, all’inizio, tanto un cacciatore quanto uno spazzino, che si nutriva delle prede fatte da altri animali veramente carnivori, mancandogli anche la insensibilità necessaria per aggredire ed uccidere con le proprie mani degli animali pacifici e innocenti, oltre che inermi. Forse, adoperando sassi e bastoni, l’uomo riusciva ad allontanare il leopardo dall’antilope uccisa, se ne impossessava e la trascinava al sicuro nel suo rifugio. Tale comportamento è stato chiamato anche “sciacallaggio”. Ma l’uomo non si limitò a sottrarre agli animali carnivori parte delle loro prede.
CACCIATORE PER NECESSITA’ PIU’ CHE PER VOCAZIONE
Fu costretto anche a cacciare direttamente, forzando la sua naturale non-aggressività, spintovi sempre dalla necessità di trovare i mezzi per sopravvivere. Il prof. Facchini (docente di antropologia all’Università di Bologna) si dice certo che l’uomo preistorico adoperò il fuoco a scopo culinario soprattutto per cuocere la carne. Concorda su tale affermazione anche il prof. Qakiaye Perlès, dell’Università di Parigi. Ma oggi per fortuna non esistono più le ragioni di forza maggiore che obbligarono i nostri antenati ad alimentarsi con cadaveri di animali per assicurarsi il fabbisogno proteico. Pertanto da molto tempo l’uomo ha inserito in misura crescente frutta, verdura e ortaggi crudi nella propria dieta. Occorre però vigilare sempre, per difenderci dall’autentico agguato che le industrie alimentari ci tendono continuamente proponendoci, ricorrendo alla propaganda a mezzo dei mass-media e all’opera nefasta di medici prezzolati, sostanze di dubbia convenienza.
MILIONI DI ANNI ALTERNI TRA RAVVEDIMENTI E TRASGRESSIONI, MA LE UNGHIE NON SONO MAI DIVENTATE ARTIGLI
Abbiamo prima affermato che l’uomo della foresta, dove aveva vissuto per milioni di anni, dovette passare nella savana. Ora, nella foresta era fruttariano, mentre nella savana, difettando la frutta, dovette divenire carnivoro. Forse l’organismo umano, adattandosi alla alimentazione carnea, assunse le caratteristiche anatomiche e fisiologiche tipiche dei carnivori? No, conservò le caratteristiche del fruttariano. Oggi, infatti, dopo milioni di anni di innaturale alimentazione carnea, le nostre unghie non si sono trasformate in artigli, il nostro intestino non si è accorciato, i nostri canini non si sono allungati trasformandosi in zanne, il nostro succo gastrico non ha aumentato la sua originale e debole acidità tipica dei fruttariani, il fegato non ha esaltato la sua capacità antitossica, ne è scomparsa l’istintiva attrazione esercitata sull’uomo in età infantile dalla frutta e neppure è scomparsa la altrettanto istintiva repulsione esercitata dalla carne sul bambino appena svezzato.
PROTEINE SOVRABBONDANTI MA NON MODIFICATIVE
Tutti segni, questi, che le proteine eccessive, presenti assieme ad altre caratteristiche negative nella carne, pur provocando danni enormi, non sono riuscite a modificare la struttura fisiopsichica dell’uomo. Ciò dimostra come l’alimentazione carnea sia del tutto estranea agli interessi nutrizionali e biologici dell’uomo, e come questi non riesca ad adattarvisi, pur subendo le pesanti conseguenze di un innaturale carnivorismo di lungo periodo.
LE PROTEINE DELLA FRUTTA GARANTISCONO OGGI COME ALLORA IL TOP DELLA SALUTE UMANA
I 22 aminoacidi esistenti negli alimenti si dividono, secondo la nutrizionistica ufficiale, in due categorie. Quella dei 14 aminoacidi che possono essere prodotti (sintetizzati) dall’organismo umano, e quella degli aminoacidi chiamati “essenziali” (8 o 10) che invece si ritiene non possano essere sintetizzati e pertanto dovrebbero essere assunti con gli alimenti. Lo scrivente si è più volte dichiarato contrario a tale teoria, dimostrando che gli “aminoacidi essenziali” sono un autentico “mito”. Tuttavia, ammettendone pure la reale esistenza come la medicina ufficiale pretende, è legittimo formulare una domanda, di fondamentale importanza. “Da dove trassero, i nostri progenitori arboricoli, gli aminoacidi oggi chiamati essenziali, ritenuti indispensabili alla vita, durante i milioni di anni in cui furono abitatori della foresta e sicuramente solo fruttariani?” La risposta ad una simile domanda, non può essere che una sola, dettata dalla logica elementare e dal buon senso. Evidentemente solo dalla frutta, anche se, secondo il parere di alcuni paleoantropologi, venivano probabilmente aggiunte alla frutta altre parti succulente di vegetali. E poiché noi oggi continuiamo a possedere quelle stesse caratteristiche anatomiche, fisiologiche ed istintuali di quei nostri progenitori, dobbiamo dedurre che le proteine della frutta sono qualitativamente e quantitativamente sufficienti a garantire in modo ottimale la vita dell’uomo oggi come allora.
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OGNI DENTE ESAMINATO DA 12 MILIONI DI ANNI FA IN AVANTI PRESENTA LE STRIATURE TIPICHE DEL MANGIATORE DI FRUTTA
Partendo da queste e da altre considerazioni il prof. Alan Walker, antropologo della John Hopkins University, è giunto alla conclusione che la frutta non è soltanto il nostro cibo più importante, ma è l’unico al quale la specie umana è biologicamente adatta. Per comprovare tale affermazione, Walker ha studiato lungamente le stilature ed i segni lasciati, nei reperti fossili, sui denti, dato che ogni tipo di cibo lascia sui denti segni particolari. Scoprì, così, che “ogni dente esaminato, appartenente agli ominidi che vissero nell’arco di tempo che va da 12 milioni di anni fa, sino alla comparsa dell’Homo erectus, presenta le striature tipiche dei mangiatori di frutta, senza eccezione alcuna”. Istintivamente, quindi, i nostri progenitori mangiavano quello che la natura offriva loro, cioè la frutta matura, colorita, profumata, carnosa, dolce. Ed è facile immaginare che i nostri progenitori mangiassero la frutta spensieratamente, nulla sapendo (beati loro!) sulla quantità e sulla qualità di proteine contenute nella frutta, guidati unicamente dall’istinto. E se la passavano pure bene.
STRETTISSIMA CORRELAZIONE TRA SUCCHI DI FRUTTA E LATTE MATERNO
E’ chiaro che la frutta è il miglior cibo, del tutto naturale, per l’uomo e per l’intera sua vita, a cominciare dal momento in cui è in grado di masticare. Il fruttarismo dell’uomo è innato, perché sbocciato dall’istinto, che è l’espressione genuina, perfetta, indiscutibile dei bisogni fisiologici nutrizionali delle nostre cellule. Esso si manifesta anche prima della fine della lattazione, reso evidente dalla appetibilità e anche dalla avidità con le quali il bambino ancora lattante assume succhi di frutta fresca, che possono sostituire in certi casi anche il latte materno (succo d’uva, per esempio, come suggeriva Giuseppe Tallarico, medico illuminato, nella sua opera maggiore “La vita degli alimenti”). Abbiamo prima, accennato alla masticazione. Per masticare occorrono i denti ed i denti cominciano a nascere verso la fine della lattazione, cioè del periodo in cui l’accrescimento del cucciolo umano è affidato alla suzione della secrezione lattea delle ghiandole mammarie della madre. Domanda. Perché al termine della lattazione (e anche prima) l’istinto ci orienta decisamente verso la frutta? La risposta è semplice. Esiste una strettissima correlazione tra il latte, che è il primo nostro cibo, necessariamente liquido, e la frutta, cibo che succederà al latte e che ci accompagnerà, nutrendoci, per il resto della nostra vita.
LATTE MATERNO APRIPISTA E BATTISTRADA VERSO LA FRUTTA E NON VERSO IL SANGUE
Esiste, quindi, iscritta biologicamente nell’atto di nascita della nostra struttura anatomica e della nostra fisiologia, una “continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta”, per cui possiamo a giusto titolo considerare questi due alimenti i prototipi alimentari ancestrali dell’uomo. Partiamo dall’argomento “latte materno”, che funzionerà da battistrada nella dimostrazione della sua continuità nutrizionale con la frutta. E’ noto che entro il 6° mese di vita extra-uterina l’uomo giunge a raddoppiare il proprio peso e a triplicarlo entro il 12°, alimentandosi unicamente con il latte materno. Tutti i testi di chimica bromatologica e di fisiologia umana ci informano che il latte materno contiene l’1,2% di proteine. Ebbene, non è proprio così, in quanto, sino a 5 giorni dopo la nascita del figlio, il latte umano contiene il 2% di proteine e questa percentuale, a partire dal 6° giorno, comincia a calare progressivamente e lentamente sino a raggiungere, dopo 3-4 settimane, l’1,3% e, dopo 7-8 settimane, l’1,2%, percentuale che verrà poi mantenuta più o meno costante sino alla fine dell’allattamento.
DECREMENTO PROGRESSIVO DEL CONTENUTO PROTEICO
Si constata, in sostanza, un evidente e regolare decremento del contenuto proteico del nostro unico “primo alimento” a misura che il neonato si avvia, con la comparsa progressiva dei denti, ad acquisire capacità masticatorie. Raggiunta tale capacità, ha termine quel periodo, dalla nascita allo svezzamento, che costituisce indubbiamente la fase anabolica più impegnativa, più intensa e più difficile dell’intera vita umana e che superiamo, come si è visto, con un cibo (il latte materno) contenente le modeste percentuali di proteine prima indicate. Poiché la velocità di accrescimento è massima nei primissimi giorni di vita e poi via via decresce, è logico anche che la percentuale delle proteine contenute nel latte, e che costituiscono il necessario materiale di costruzione, debba seguire lo stesso andamento. L’accrescimento ponderale dell’individuo continua, come si sa, anche dopo la comparsa dei denti, per terminare tra i 21 e 24 anni, ma con una velocità estremamente ridotta rispetto a quella del lattante.
LA LEGGE DELL’OTTIMO SIGNIFICA ANCHE LEGGE DEL MINIMO
Esiste una regola che vige in natura, ed è quella destinare ai diversi esseri viventi cibi che contengano i principi alimentari indispensabili, ma solo nella quantità necessaria, che deve essere considerata l’optimum per l’individuo. Tanto è vero che non possiamo nutrire un neonato umano, il cui latte contiene l′ 1,2% di proteine, con il latte di mucca, che contiene il 3,5% di proteine, senza determinati accorgimenti come la elementare diluizione, nel tentativo di evitare enteriti e altri malanni, anche gravi. Il corpo umano, quindi, osserva proprio questa regola, cioè la cosiddetta “legge del minimo”, che a nostro parere potrebbe anche (e forse “meglio”) chiamarsi “legge dell’optimum” in quanto, se l’individuo ingerisce cibi contenenti dei nutrienti in quantità eccedenti il proprio fabbisogno, tale eccesso diviene per l’organismo una vera e propria scoria tossica ed il corpo cerca in tutte le maniere di sbarazzarsene, cosa che avviene in speciale modo per le proteine, come in precedenza s’è già detto.
Armando D’Elia (1912-1999) – Laurea in chimica prima e poi in Scienze Naturali, per decenni si è interessato di alimentazione umana, impegnato attivamente, in una visione biocentrica, nello studio del rapporto tra alimentazioni e salute. Egli ha costituito e costituisce tutt’ora il più avanzato punto di riferimento per quanti in Italia si occupano di tale tematica e si è caratterizzato per essere stato in netto contrasto con gli schemi accademici oggi dominanti, accusati di essere fortemente inquinati dalla difesa di inconfessabili interessi economici dell’industria alimentare. Da notare che la biblioteca di D’Elia è formata da oltre 6000 volumi, una delle più complete raccolte italiane in tema di alimentazione e di igienismo.